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Published On: Mar, Giu 6th, 2017

Il nuovo paradigma e i trent’anni che sconvolsero la fisica

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Il paradigma tuttora caratteristico della cultura occidentale è quello cartesiano-newtoniano, così battezzato dal fisico Fritjof Capra (l’autore de Il Tao della fisica) nel suo libro Il punto di svolta. Il paradigma cartesiano-newtoniano inquadra il pensiero e le conoscenze considerando l’universale come una macchina, con l’eccezione della sola parte mentale dell’uomo che la osserva “dall’esterno”.

Il pensiero corrente è ancora oggi in gran parte ancorato alla visione del mondo che consegue dall’opera di Newton, sia per quanto riguarda i concetti di spazio e di tempo, sia perché viene attribuita ai fenomeni una natura essenzialmente meccanica. Come conseguenza, la natura è priva di ogni rilevanza morale. L’uomo non ne fa parte, ma è qualcosa di superiore. Cartesio considerava “macchine” anche gli altri esseri viventi.

Le conoscenze attuali rendono insostenibile questo sottofondo di pensiero, ma l’Occidente divulga ancora il paradigma in cui era inquadrata la scienza alla fine dell’Ottocento: l’universale è una gigantesca Macchina con l’optional del Grande Ingegnere.

Dal 1900 al 1930, più o meno, sono avvenuti, partendo soprattutto dalla fisica, rivolgimenti del pensiero scientifico conseguenti a formulazioni teoriche, sempre confermate,  che hanno falsificato il paradigma cartesiano-newtoniano: tale modifica è tuttora in corso e procede molto lentamente. Sono i famosi Trent’anni che sconvolsero la fisica, titolo di un felice libro divulgativo di George Gamow.

Con la relatività, la fisica meccanicista ha cominciato a vacillare: spazio e tempo hanno perduto ogni connotazione assoluta, materia ed energia sono diventate la stessa cosa, la gravitazione è diventata la geometria dello spaziotempo.

Ma non è stato intaccato il principio cartesiano fondamentale di netta separazione fra un osservatore (mente) e un osservato (materia, o materia-energia). Si continuano a considerare ovvie l’impenetrabilità dei corpi (cioè il dualismo vuoto-pieno) e la logica “A non è nonA”. Si continua a dividere ogni problema, ogni cosa, ogni processo in parti, senza tener conto che qualunque suddivisione risente di qualche “pregiudizio” e non può essere neutrale e valida universalmente. Le entità non-quantificabili e non-misurabili sono ancora sostanzialmente negate.

Quindi, dopo la relatività, il modello non è più newtoniano ma è ancora ben saldamente cartesiano.

Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg formulò per la prima volta il suo famoso principio di indeterminazione, poi inquadrato da Niels Bohr nell’interpretazione di Copenhagen.

E’ impossibile, anche in linea teorica, separare il fenomeno dall’osservazione. Come dire, è impossibile distinguere la mente dalla materia. Ovvero, senza una forma “mentale”, non si può parlare di alcunché, se non come una fantomatica onda di probabilità. Con una concisa estensione, ciò significa che lo psichismo (la mente) deve essere ovunque. Altrimenti, quali sono i sistemi con lo status di “osservatore”? Gli sviluppi successivi hanno rafforzato la fusione mente-materia estendendola praticamente a tutto l’universale.

Inoltre, l’indeterminazione applicata al binomio massa-tempo (o energia-tempo) ha portato a formulare il concetto di vuoto quantistico: non esiste alcuna particella né entità stabile, c’è solo una specie di vacuità creativa, una danza di energie che continuamente nascono nell’Essere e svaniscono nel Nulla. Il dualismo vuoto-pieno è scomparso: “A”e”non-A” possono coesistere.  Questo significa la fine dell’idea che il mondo materiale sia costituito di “particelle” e di “vuoto”, concezione che era in sostanza ancora quella di Democrito. Al suo posto è subentrata un’idea di vuoto-pieno continuamente e “contemporaneamente” pulsante, una specie di vacuità creativa. (abbastanza simile alla sunyata del Buddhismo).

Un’altra conseguenza notevole della fisica quantistica: le particelle-onde che si separano da un unico punto (cioè hanno avuto qualche contatto) restano indissolubilmente legate, dato che l’“osservazione” anche di una sola di esse influenza istantaneamente il comportamento delle altre, a qualunque distanza si trovino (entanglement).

Questo porta alla considerazione che nulla è separabile nell’Universo e ogni processo (o “oggetto”) ha influenza su qualsiasi altro, a qualunque distanza spazio temporale si trovi.

Ciò significa che tutto è collegato a tutto, in modo istantaneo, cioè che non è possibile isolare alcun fenomeno.

Quegli anni sono anche il periodo in cui i cosmologi inglesi James Jeans e Arthur Eddington scrissero: “L’universo assomiglia molto più a un grande Pensiero che a una grande Macchina”.

 Quale paradigma si prospetta dopo queste verità?

Se non si può “spezzettare”, e neppure fare “riduzioni al semplice”, né considerare le variabili come indipendenti, riesce molto difficile in pratica trattare qualunque problema. Bisognerà  comunque semplificare qualcosa, ma ogni sistema deve essere considerato come un sottosistema di quello totale, in realtà indivisibile.

Nei sistemi complessi esiste sempre un limite temporale oltre il quale non è possibile fare alcuna previsione, neanche in linea teorica. Questo significa che, da un certo punto in poi, il sistema prende una via completamente imprevedibile sulla base dell’andamento precedente: in altre parole, si manifesta una scelta, cioè un aspetto mentale. Il nuovo paradigma emergente è stato battezzato sistemico-olistico.

Si noti che, comunque, anche senza considerare le implicazioni mentali, i ragionamenti sul paradigma sistemico-olistico e sulla falsificazione di quello cartesiano-newtoniano restano validi.

Gli scienziati cartesiani-newtoniani sono quasi commoventi quanto tentano invano di salvare il loro paradigma cercando le più strampalate spiegazioni ad alcuni fatti di questo tipo:

  • gli uccelli migratori ritrovano il loro nido dopo un viaggio di migliaia di km;
  • le tartarughe marine tornano proprio alla spiaggia dove sono nate per deporvi le uova dopo aver vagato nell’Oceano per migliaia di km;
  • i piccioni viaggiatori raggiungono la loro “casetta” comunque la si sposti;
  • le larve delle anguille ritrovano il fiume (che non hanno mai visto) da cui sono partiti i loro genitori, dopo un viaggio di 5000 kilometri dal Mar dei Sargassi;
  • gli alberi sono dotati di memoria e provano emozioni (Stefano Mancuso e Peter Wohlleben).

Dal punto di vista filosofico, il nuovo paradigma conduce all’animismo, dato che le entità che costituiscono il mondo sono animate, hanno una propria forma di mente. Ma esiste anche un unico Sistema totale, con la sua Mente, e ne consegue una forma di panteismo. Quindi, sul piano filosofico, si tratta di una visione del mondo qualificabile come animismo-panteismo. Così troviamo il Dio-Natura, ma anche lo spirito dell’albero, del torrente, della montagna, dell’alveare.

Il persistente vecchio paradigma cartesiano-newtoniano ci ha portato all’attuale dramma ecologico e alla distruzione della Vita, attualmente in corso.

Il nuovo paradigma porta all’Ecologia Profonda e al rispetto per tutti gli esseri senzienti e per la Terra, complesso in cui siamo inseriti, ma il tempo a disposizione per un cambiamento così profondo è ormai molto poco. L’Ecosfera dovrà comunque guarire dal suo male e rientrare nei limiti delle sue capacità di omeostasi.

Forse il nuovo modo di pensare potrebbe aiutarci anche a considerare con più serenità la morte, dato che non c’è più un ego autonomo e permanente che “persiste” o “non-persiste” (le uniche alternative che propone l’Occidente), ma una entità come successione di stati mentali variabili che non può “sparire”: non moriremo perché non siamo mai nati.

© 2017, Guido Dalla Casa. All rights reserved.

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About the Author

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- Guido Dalla Casa è nato nel 1936 a Bologna, dove ha frequentato il Liceo Scientifico e si è laureato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1959 al 1997 ha svolto l’attività di dirigente dell’ENEL nelle aree tecnica e commerciale della distribuzione, nelle sedi di Torino, Vercelli, Milano e Brescia. Ora vive a Milano, dove fa parte del Gruppo Ecologia ed Energia dell’ALDAI. Dal 1970 circa si interessa di filosofia dell’ecologia e di filosofie orientali e native. E’ docente di Ecologia Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini (Università di Urbino). Tiene corsi di Scienze Naturali ed Ecologia Profonda come docente volontario alla UNITRE di Saronno e in altre UNITRE dell’area milanese. Ha pubblicato alcuni libri: L’ultima scimmia (1975) per la Casa Editrice MEB, Ecologia Profonda (1996) per l’Editrice Pangea, Inversione di rotta (2008) per Il Segnalibro, L’ecologia profonda. Lineamenti per una nuova visione del mondo (2008) e Guida alla sopravvivenza (2010) per Arianna, Ambiente: Codice Rosso (2011) per l’Editrice Jouvence, oltre a numerosi articoli su varie Riviste, quasi tutti su argomenti di ecologia profonda.

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