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Published On: Sab, Nov 17th, 2012

Comunicazione Emotiva e Comunicazione Attiva

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Comunicazione Passionale

(di Antonella Chierchia)

“Quanto poco impiega un pensiero a riempire una vita intera!” recita il proverbio che è anche testo dello splendido brano omonimo di Steve Reich. Descrive perfettamente l’amore intellettuale per un’Idea, che può motivare un’intera vita, diventare contagiosa, promuovere cambiamenti sociali e influenzare la Storia e l’evoluzione umana, con tutto ciò che ne consegue per il Pianeta. Suggerisce quanto si può essere dedicati, ma anche ossessionati, da un’Idea che diventa modus vivendi, modus operandi e parte integrante dell’identità dell’attivista.

Nel corso degli ultimi due secoli un numero crescente di persone ha cominciato ad associarsi secondo principi etici condivisi, invece che in base ad identità etniche e territoriali come nei millenni precedenti. Questi movimenti di opinione hanno portato meravigliosi progressi civili, trasversali in varie società: l’abolizione della schiavitù, l’emancipazione della donna, la tutela del bambino, il rispetto dei poveri, il riconoscimento delle minoranze e dei diritti umani, un crescente rispetto per ambiente e animali, migliori condizioni di lavoro. Ciascuna di queste rivoluzioni etiche si è compiuta (o si sta compiendo) grazie al lavoro disinteressato dei suoi attivisti, volontari che hanno dedicato le loro energie alla promozione di princìpi etici fino allora violati, attivando un cambiamento di cui hanno beneficiato tutti, non solo le vittime affrancate. Una società fondata sull’eguaglianza dei diritti dei suoi membri è una società più stabile e armonica, e di conseguenza più florida e produttiva, a differenza di una società spaccata da distinzioni di classe con risentimenti reciproci, che dissipa energie in destabilizzanti conflitti interni.

Come nasce un attivista, cosa spinge una persona a dedicare tempo, energie e fondi ad una Causa che a volte neanche la riguarda direttamente, spesso esponendosi in prima persona a ritorsioni dei poteri conservatori? Partiamo dalla radice dell’Idea, dal momento in cui essa diventa obiettivo e motivazione. L’Idea nasce dalla consapevolezza. Nasce dall’esperienza di un’ingiustizia subìta o consumata in nostra presenza. Dalla presa di coscienza di un atto di prevaricazione ai danni di una vittima, che genera un forte legame empatico e l’istinto a difenderla. L’Idea nasce dall’Amore per l’Armonia e dall’istintivo rifiuto che molti hanno per la Violenza. Come Siddharta, questa presa di coscienza ci colpisce e ci sposta dal nostro baricentro emotivo spingendoci a riconsiderare quello che sapevamo del mondo e le nostre priorità, e poiché l’animo tende istintivamente a cercare Equilibrio ed Armonia, diventa urgente in noi la necessità di ristabilirli rimediando al danno, controbilanciando la violenza, prendendo le difese della vittima per impedire il protrarsi dell’ingiustizia. Uno splendido meccanismo di mutuo soccorso, innato in molti di noi, e caratterizzato da un forte coinvolgimento emotivo.

Paul Watson, attivista fondatore di Sea Sepherd. Un altro esempio di attivismo passionale

Le ritorsioni non sono l’unico rischio che l’attivista corre: quando comprendiamo che la violenza avviene su larga scala, ben al di fuori della nostra portata di azione difensiva, può facilmente insorgere la frustrazione, e con essa la rabbia.  Queste due umanissime conseguenze ci possono risucchiare in una spirale discendente di tristezza. Ecco che mentre ci prodighiamo in difesa delle vittime mossi dall’Amore per l’Innocenza e per la Giustizia, comincia a gonfiarsi in noi il risentimento per coloro che ai nostri occhi sono i persecutori. L’attivista è un’anima generosa e bene intenzionata, ma facilmente cade vittima di sentimenti negativi che può rovesciare su chi non è suo partigiano. Questo non fa bene né a lui né alla Causa, ma con l’esperienza s’impara a gestire e razionalizzare. Un primo accorgimento riguarda la Comunicazione.

Il Volontariato si fonda su due attività complementari: il soccorso fisico alle vittime, e la sensibilizzazione delle masse verso la Causa. La prima rimedia alla violenza già avvenuta, la seconda previene che si ripeta. L’educazione delle masse è il migliore strumento nelle mani dell’attivista affinché si interrompa la catena di violenze, e dovrebbe essere il suo obbiettivo primario. Si realizza attraverso un sensibile e ben calibrato lavoro d’informazione: l’obiettivo è diffondere la consapevolezza, che come abbiamo visto, in questo caso, è la radice e la forza propulsiva dell’Idea. Ma perché l’informazione venga efficacemente recepita, è fondamentale sviluppare un corretto sistema comunicativo. Se la frustrazione e la rabbia filtrano nella nostra comunicazione, il contenuto ne sarà compromesso, l’ascoltatore ne sarà distratto e negativamente influenzato, e si mancherà l’obiettivo fondamentale della sensibilizzazione. Perché l’informazione coinvolga l’ascoltatore, è necessario evitare la comunicazione emotiva (soggettiva e irrazionale) e adottare una comunicazione attiva (fattuale e serenamente obiettiva, quindi più attendibile – quindi più producente). La comunicazione emotiva è caratterizzata da toni di risentimento e colpevolizzazione, genera pressione sull’interlocutore, e lascia trapelare l’intimo malessere dell’attivista – o peggio ancora, un certo narcisismo. Il coinvolgimento emotivo lo rende poco attendibile agli occhi dell’interlocutore critico e fa venire voglia di prendere le distanze. La comunicazione attiva invece tiene sotto controllo la frustrazione e presenta con razionalità dati e fatti, lasciando che l’interlocutore noti da sé l’evidenza dell’ingiustizia. Ciò che trapela dall’attivista è Amore e non Passione: l’Amore è una forza stabile e matura, la Passione è una forza instabile e volitiva, che può avere sfaccettature negative. La comunicazione attiva, invece, non lascia passare rabbia e aggressività, atteggiamenti che sono dannosi per la Causa e minano nell’intimo l’animo del volontario.

Malcom X è forse uno dei più noti esempi di attivismo passionale

Siamo tutti interlocutori, tutti difendiamo e diffondiamo le nostre opinioni: per renderci conto di dove sbagliamo a comunicare è sufficiente ricordare quando siamo stati noi ad ascoltare le dissertazioni di un fanatico di un argomento che non condividevamo. Quel fanatico invasato ci ha forse convinto? Quante volte noi stessi abbiamo pronunciato le parole “Non è quel che dici, ma il tono in cui lo dici?”

Questa è stata una veloce e generale introduzione sulla comunicazione nell’attivismo, nei prossimi articoli scenderemo nel dettaglio delle differenti circostanze – i modi più efficaci per promuovere una Causa sui social network, vis-a-vis con gli amici, nelle manifestazioni e così via!

‘If you want to make the world a better place, take a look at yourself and make a change.’ – M.J.

© 2012 – 2015, Redazione di Quantic Magazine. All rights reserved.

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