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Come l’amore di questi piccoli animali, i ricci, mi ha curato la vita | Recensione e Intervista a Massimo Vacchetta, autore di “25 Grammi di Felicità” e “Cuore di Riccio”.

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Massimo Vacchetta di professione fa il veterinario. Una persona dall’aria stralunata, come tutti i creativi, le persone fuori dal coro, dalla massa, ma anche fortemente concreta, quando posa lo sguardo su di te ti parla. Durante la presentazione dei suoi due libri, “25 Grammi di Felicità” e “Cuore di Riccio” (ediz. Sperling& Kupfer) le sue parole sono arrivane al mia mente e al cuore come un torrente impetuoso. Da tempo mi chiedevo il perché di tanto successo di questi volumi: di solito i libri che parlano di animali sono relegati a rimanere all’interno di una stretta cerchia di appassionati.

Invece i libri del Dr. Vacchetta sono diventati un caso editoriale, le TV e i giornali parlano di lui, le radio, e le librerie, durante le presentazioni degli stessi, sono sempre gremite di persone. Dopo averlo ascoltato parlare, e dopo avere letto con passione “25 Grammi di Felicità” e “Cuore di Riccio” ho avuto la mia risposta.

Massimo Vacchetta e i suoi libri parlano di vita reale.

Raccontano del cambiamento profondo di un uomo, lui stesso, attraverso l’incontro con un piccolo esserino che ai più potrebbe apparire insignificante: un cucciolo di riccio di poche settimane di vita, da Massimo ribattezzato Ninna, che pesava solamente 25 grammi. Meno di una rosa.

Quell’incontro, una catarsi che ha stravolto completamente la sua vita.

Lo spiega molto bene nel primo libro “25 grammi di felicità”, edito nel 2017, best seller in Italia, dove racconta per filo e per segno la storia della piccola Ninna (perché la cucciola amava fare la nanna, da lì il nome), che ha dato vita a quello che sarebbe diventato il Centro di Recupero Ricci “La Ninna” di Novello (CN) dove tutt’ora Massimo e il suo staff di volontari si occupano di accogliere, curare e rimettere in libertà i ricci in difficoltà.

Ma non solo. Ci sono anche dei ricci “stanziali” che risiedono al Centro, e stiamo parlando di animali disabili, ossia che hanno subito incidenti (per lo più causati dall’uomo) e che non possono ritornare in natura. Le loro storie sono raccontate nel secondo libro “Cuore di Riccio”, edito a novembre del 2018.

Ma, come dicevo all’inizio, i due libri sono molto di più. Non sono un asettico resoconto della vita al Centro, ma un racconto di amore, di cambiamento, di risveglio, della forza invincibile della vita che pulsa in ogni creatura, la storia di una guarigione interiore, di un aprirsi ad una sensibilità più profonda.

Una storia d’amore dalle mille e più sfaccettature. Anche il dolore. Da quello fisico, che ha provato Massimo passando infinite notti insonni per nutrire i ricci ogni due ore, come se fossero dei bambini. A quello dell’anima, come quello di sapere lasciare andare un riccio quando giunge l’ora di rimetterlo in libertà. “L’amore è lasciare andare” scrive Massimo, e lo ha provato sulla sua pelle, più di una volta, anche quando alcuni piccoli ricci, dopo mesi di cure, non ce l’hanno fatta. O quando ha perso la sua adorata mamma, Franchina.

Cuore di Riccio è un volume che si apre all’amore, che parla anche di sofferenza, di rapporti umani, delle debolezze comuni ad ogni essere umano ma anche della forza che ogni essere umano tira fuori nelle situazioni difficili, la stessa che Massimo ritrova nei ricci gravemente feriti che arrivano al Centro, ma che vogliono vivere. “Oh, sì, che vogliono vivere”, dice Massimo, abituato a lottare, a non lasciare nessuna strada intentata, anche quando le situazioni sono disperate.

Il parallelismo che Massimo fa con la sua vita e quella che è stata l’esperienza con i ricci è reale e disarmante, ed è proprio questa la forza dei suoi libri.

 “Mi sentii invaso da un’immensa tenerezza, sarei rimasto a vegliare su di lei (Lisa, una riccetta disabile) esattamente come un padre con il figlio. Mi piace prendermi cura dei ricci. Mi da serenità. Con loro il rapporto è semplice, immediato, puro, mai contaminato dalle parole. E’ silenzio, è pace. Certo, la sofferenza non manca, ma grazie a loro sento di essere finalmente al posto giusto, di poter essere d’aiuto a qualcuno. Nel loro aspetto indifeso ritrovo la fragilità di me bambino. Nei loro aculei la mia corazza difensiva.”

Un’esperienza di mutuo soccorso, quella di Massimo con i ricci. Un vicendevole salvataggio. La ricerca di una felicità inaspettata e immensa, che lui pensava di avere trovato attraverso la sua professione di veterinario, attraverso una bella casa, le soddisfazioni economiche. “Avevo tutto, ma ero tremendamente infelice”, dice. E la sua solitudine di fondo, mai colmata veramente da quella vita fatta di cose esteriori, la solitudine del cuore data da un infanzia difficile, quel sentimento che ritrova ogni volta che si prende cura un essere indifeso come un riccio, e di conseguenza, cura se stesso.

La compassione verso il prossimo, verso i più deboli e i senza voce, come gli animali. Ma anche la meraviglia della vita che pulsa, anche fra i ricci più deboli e malati, i loro sguardi che non si arrendono, le loro zampine che cercano un contatto, la forza della vita presente in ogni creatura, che Massimo sperimenta ogni giorno e che ha aperto in lui un orizzonte nuovo di visione, che scardinato i suoi punti fermi e le sue convinzioni, che lo ha reso un uomo nuovo.

“Senza saperlo, mi stavo aprendo all’amore con la A maiuscola. Ripulito dal materialismo che avevo abbracciato per anni, emergeva limpido dentro di me il mio lato più sensibile, quello sognatore e romantico. Lì, di fronte alla disabilità fisica, riconoscevo quella della mia anima. Che grazie al dolore dei ricci, aveva imboccato la via della guarigione”.

Un racconto amorevole, straziante, e pieno di speranza, quello che fa Massimo Vacchetta nei suoi libri, che invita tutti a ritrovare quella sensibilità persa, quel ritorno al selvatico e alla natura e chiama a guardarsi dentro, per guarire le proprie ferite interiori.

 

L’intervista a Massimo Vacchetta

Ho incontrato Massimo in una bella giornata di Febbraio, a Novello, presso la sede del Centro Recupero Ricci La Ninna.

Ci troviamo in una stanza del Centro, dove sono ricoverati, durante l’inverno, i ricci disabili. CI sono diverse gabbiette con dentro i piccoli spinosetti che dormono coperti da copertine di pile e boule di acqua calda. E’ molto toccante, perché si sente la vita che si muove. I ricci fischiettano, starnutiscono, si muovono, sento le loro zampine sulla carta che riveste i loro giacigli. Massimo è indaffarato, perchè è sempre ora delle cure, e proprio mentre mi parla si sta prendendo cura di Ramino, un riccetto con una brutta ferita causata da un morso di un cane, che lentamente si sta riprendendo. Vederlo all’opera è meraviglioso.

Massimo è un’anima gentile che dona amore.

Massimo Vacchetta mentre si prende cura di Ramino

D: Massimo, che libri straordinari i tuoi. Qual è l’emozione più grande che ti hanno dato i tuoi ricci?

R: L’emozione più grande… –si ferma a pensare – tutte le volte che arrivano qua disperati…e tu magari passi una notte intera, fai una battaglia a fianco a loro e poi alla fine si riprendono. Vedi quegli occhietti spenti, indifesi, teneri, tristi, quasi imploranti, che poi improvvisamente si riaccendono. La vita torna a fluire dentro di loro. E tu sei consapevole che hai dato loro una speranza in più. Sei riuscito in qualche modo a restituire loro la vita.

D: Parlando di sensibilità, perché secondo te, che prima facevi il veterinario di bovini, le persone sono in genere educate a non essere sensibili agli animali “senza nome”, a meno che non siano un cane o un gatto ? Molto spesso ti hanno accusato di prenderti cura degli animali e non delle persone.

R: Io stesso, in passato, ero freddissimo. Una macchina da guerra. Facevo il cesareo alle mucche in mezz’ora, con contadini che urlavano, sangue dappertutto. MI spiaceva vedere gli animali soffrire, ma ero sempre in controllo della situazione. I ricci hanno cambiato la mia vita. Mi hanno insegnato la compassione. L’essere umano ha l’empatia con chi ha vicino. Il cane o il gatto ci vive vicino, attorno. Giustamente, si dice: non mangeresti mai il tuo cane o il tuo gatto, perché crei empatia con quella creatura. Con gli animali selvatici, o con gli animali da carme, come i bovini, i maiali, le galline c’è un distacco emotivo, perché non ci viviamo, non li conosciamo. E soprattutto, non si è a contatto con la morte. Anche gli allevatori, l’ultima fase della  vita di un animale, non la vivono. Gli animali muoiono nei mattatoi lontani dalla vista. La gente non vive quella fase terribile della morte, non  vede la loro sofferenza. I macelli sono qualcosa di chiuso, non pubblico. Assolutamente lontani da fare vedere tutta quella sofferenza Come anche gli allevamenti. La carne, sul mercato, è parcellizzata, non vedi l’animale. E’ fatto tutto ad hoc per non farti vedere la sofferenza. Anche in pubblicità non ti fanno mai vedere l’animale che soffre. Se facessero vedere la mucca legata alla catena, che è presa a calci dall’allevatore, che vive nei suoi escrementi, chi comprerebbe mai il prodotto? Non ti fanno vedere la vita che scorre negli animali, la vita che è uguale alla nostra, e che gli animali vogliono viverla fino in fondo. Togliere la vita è la crudeltà più grande.

Un cucciolo di pochi giorni, ancora con gli occhi chiusi

D:  Descrivi gli allevamenti come luoghi di inaudita violenza. Cosa possiamo fare noi? Cosa pensi del veganesimo?

R: Ho visto delle cose indicibili, negli allevamenti. Animali trattati in maniera oscena. Molto peggio di quello che mostrano in TV i filmati delle associazioni animaliste. Già diventando vegetariani possiamo fare molto. Ma anche non sprecando. Buttiamo via il 30% del cibo. Che è una cosa impensabile, soprattutto se si tratta di cibo di origine animale. Già non sprecando, in generale, facciamo un’opera di salvataggio del pianeta. I due terzi dei campi coltivati sono per cibare gli animali di allevamento. Assurdo, ma vero. Ogni anno, 400 miliardi di animali che vengono tenuti in condizioni pessime e poi ammazzati. Se diventassimo vegetariani tutti, già salveremmo metà del pianeta. Diventare vegani va benissimo, perché si ha rispetto degli animali e del loro dolore. E poi essere vegani salva il pianeta, perché i due terzi dell’agricoltura è per sfamare gli animali negli allevamenti. Se noi da domani fossimo tutti vegani, taglieremmo almeno del 25% le emissioni di gas serra. Non so quanti milioni di bovini ci sono sul pianeta, ma sono tantissimi e producono tantissimo metano. E poi senza dubbio, il veganesimo aiuta la salute di ognuno di noi, perché con una piccola integrazione di B12 le proteine animali possono essere sostituite. Leggete qualcosa di Franco Berrino, o The China Study, per esempio.

D: Inquinamento, cambiamenti climatici. Come vedi la situazione? C’è speranza?

R: Se vogliamo salvare la terra, il modo è coltivare la compassione, la solidarietà e l’amore nei confronti degli altri. L’esatto opposto di quello che stiamo facendo ora. Dobbiamo diventare tutti perlomeno vegetariani. Adottare comportamenti consapevoli: andiamo verso l’energia pulita. In ogni piccola cosa, anche scegliendo un’ auto diversa. O meglio. Non andare con la macchina dappertutto. Andiamo a piedi, in bicicletta. Usiamo il buon senso. Se non possiamo fare direttamente qualcosa di grande per l’ambiente, sosteniamo le associazioni che lo fanno per noi: chi pianta alberi, chi protegge gli animali. Non sono soldi buttati. Sono ben investiti. Più di un paio di scarpe che magari ne abbiamo già cinque paia e ci compriamo il sesto.

Dobbiamo cambiare la nostra scala di valori. Sono importanti i sentimenti e non la crescita economica. Dobbiamo ritornare al buon senso e farlo in fretta. Lo dicono ormai da anni gli scienziati, che sono rimasti praticamente inascoltati dai potenti. Questo perché noi umani siamo abituati a risolvere i problemi quotidiani e non abbiamo visione a lungo termine. Proprio per questo dobbiamo partire dai piccoli gesti: cambiare il nostro pasto, salvare un riccio, togliere una cartaccia da per terra. Limitare l’uso della plastica. L’uso della plastica ammazza gli animali. Anche i ricci. La prova la storia di Pipino (la trovate in Cuore di Riccio), la cui mamma stava morendo intrappolata nei fili di plastica delle rotoballe.

Dobbiamo cambiare il nostro punto di vista, la prospettiva. La terra è tutta viva. Siamo un team di vita tutto interconnesso. Non c’è una cosa che avvenga da una parte del pianeta che non ne influenzi un’altra. Ogni nostra azione incide sul pianeta, tutti noi dobbiamo avere cura del pianeta. Gli equilibri sono fragilissimi: noi siamo abituati a guardare il cielo e a pensare che sia infinito, ma se vista dall’alto, l’atmosfera è uno strato sottilissimo, fragile. Se dovesse scomparire noi moriremmo. Questo dovrebbe fare pensare a tante cose riguardo all’inquinamento che produciamo. Proprio per questo io penso che la vita sia preziosissima a tutti i livelli: da una formica ad un topolino ad un essere umano. Il pianeta ora deve andare velocemente verso l’energia pulita, verso un modello che non sia consumistico ma sostenibile. Ognuno di noi dovrebbe riprogrammare il proprio stile di vita, ma non possiamo farlo da soli. Noi assieme a milioni di altre persone, possiamo fare la differenza. Uniti. Bisogna trovare la via per sensibilizzare e convincere più persone possibili. La prima cosa è l’informazione. Perché c’è ancora molta gente che non ci crede, che non glie ne frega nulla, che non vuole pensarci, che non sente l’emergenza. O magari non sanno. Bisogna informare. E trovare il modo di agire velocemente, tutti insieme. sensibilizzando i governi.

Sissi mentre fa la pappa

D: Hai ritrovato te stesso attraverso i ricci. Come, secondo te, una persona può incominciare un cammino di liberazione dei fardelli interiori e verso se stessa?

Ascoltare le voce interiori. Ci sono delle voci interiori dentro di noi che ci parlano. Che è il nostro inconscio, la nostra sfera emotiva. Lasciamo che i nostri sentimenti fluiscano, non soffochiamoli, come spesso facciamo, perché magari pensiamo di essere inadeguati, perché pensiamo che mostrarli sia un segno di debolezza. Bisogna lasciare che questi sentimenti ci parlino. Diamo un segnali agli altri di quello che abbiamo dentro. Alla fine scopriremo che coltivando i nostri sentimenti guariamo dai nostri mali. Seguire il proprio cuore. A volte nella vita arrivano delle crisi terribili, dei muri insormontabili, un lutto, una perdita. Non fuggiamo. Stiamo vicini al dolore. Il dolore non ha una connotazione assolutamente negativa. Anche quando tutto sembra perduto. Il dolore aiuta a rendere i rapporti più veri. Più sinceri. Più essenziali.

Seguire quello che abbiamo nel cuore, senza paura di non essere conformi agli altri. Anche se è fare una cosa bizzarra come curare i ricci. Chiudere gli occhi e sentire quello che c’è dentro al proprio cuore. Fare quello che vogliamo veramente.

la cura andò a buon fine, il peso si stabilizzò e io potei tirare un sospiro di sollievo. Ogni risultato raggiunto con Lisa aveva il sapore di una grande vittoria e il senso di precarietà legato alla sua fragile salute rendeva prezioso ogni istante passato insieme. Quella creatura continuava ad impartirmi preziose lezioni di vita: dare valoreal tempo, vivere appieno ogni singolo aspetto dell’esistenza, realizzare ciò che ci sta a cuore, evitando di perdersi in cose inutili” Massimo Vacchetta – Cuore di Riccio

D: Ma torniamo ai ricci. Quanti sono al Centro? So che ognuno ha un nome. Ci daresti un paio di consigli pratici per capire come soccorrere un riccio in difficoltà?

R: Sono 110. L’anno scorso siamo arrivati a 170 ricci. Alcuni non ce l’hanno fatta, perché purtroppo arrivano talmente massacrati. Però tantissimi, con grande cura e fatica sono stati reintrodotti in natura. Ciò nonostante una parte rimane disabile. Attualmente sono una trentina. Alcuni non autosufficienti e altri sono autosufficienti. Questi ultimi vivono nei recinti esterni, riescono a mangiare da soli, e sono sorvegliati dai volontari. Gli altri sono qui, nei loro box. I ricci non se la passano bene oggi.  L’uso di pesticidi, la perdita del loro habitat, le monocolture li hanno decimati, tanto che sono nelle lista di animali a rischio di estinzione. Nel libro Cuore di Riccio ho stilato un decalogo di cose da fare o da non fare, si trovano anche molte info sul web. Ma nel caso troviate un riccio in difficoltà, prendete un paio di guanti per non pungervi, mettetelo in una scatola di cartone o un trasportino per gatti  e consegnatelo immediatamente ad un CRAS (centro di recupero animali selvatici) o al servizio veterinario ASL. Se siete nei d’intorni contattate il Centro La Ninna, per portarlo qui. Lasciate perdere il fai da te. Il tempo è prezioso. E se vedete un riccio fermosui bordi della strada, fermatevi a soccorrerlo. Se è ferito, rivolgetevi ad un CRAS, se è sano ( si appallottola completamente) spostaelo a non più di un centinaio di metri, in un luogo lontano dalla strada. Se in autunno,trovate un riccio piccolo, sotto i seicento grammi, contattate un CRAS. POtrebbe essere in difficoltà, sottopeso, e non superare l’inverno. Se trovate dei cuccioli di riccio senza mamma o in palese difficoltà, mettetevi dei guanti (per non dargli il vostro odore), riponeteli in una scatola imbottita da morbidi asciugamni e teneteli al caldo, con una boule di acqua calda e delle coperte di pile.  Per tutti i dubbi, contattateci al Centro o sulla pagina Facebook.

D: Come possiamo aiutare il Centro La Ninna?

R: Ci sono diversi modi per aiutare: il modo più diretto è quello di fare volontariato. Si viene qui e si da una mano. Poi a distanza: fare delle donazioni, gestire gli eventi, organizzare corsi di avvicinamento alla natura, e tanto altro. Poi c’è anche la possibilità di adottare a distanza un riccio. Potete trovare tutte le informazioni e gli aggiornamenti sulla nostra pagina Facebook.

Massimo ha in cantiere la pubblicazione di altri due libri: uno per ragazzi e uno riguardante il nostro pianeta e l’ecologia. Entrambi parleranno delle storie dei suoi ricci, ma amplieranno lo sguardo a tutto tondo sulla delicata situazione ambientale, con il fine di sensibilizzare le persone verso uno stile di vita più sostenibile.

Massimo, grazie. Incontrarti è stata un’esperienza meravigliosa. Grazie a Cristina, la Nini, così dolce e sensibile, come la descrivi tu, e come in realtà è, che è stata il nostro tramite. Vi auguro che la Vita possa darvi tutto ciò che meritate.

Se Volete visitare il Centro Recupero Ricci la Ninna, lo potrete fare in primavera – estate.  Vi invito a seguire le iniziative del Centro seguendo la sempre aggiornata pagina Facebook, dove potrete anche trovare le modalità per fare delle donazioni e vedere gli splendidi filmati dei riccetti del Centro.

Buon Cammino e buona compassione.

https://youtu.be/eX6266Pxlgw

© 2019, Alessandra Gianoglio. All rights reserved.

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- Autrice di narrativa, blogger, appassionata di musica e di materie evolutive, si occupa della redazione di questo blog. Ha scritto un ebook "Sette Racconti Brevi per il tuo Cuore", che ha collezionato oltre 250.000 downloads. E' autrice anche del saggio di controinformazione " Michael Jackson | l'Agnello al Macello", che rappresenta un lucido ed oggettivo resoconto sulla figura di Michael Jackson. Vegana, tendenzialmente crudista, appassionata lettrice, sempre alla ricerca di qualcosa che rimane perennemente sospeso a qualche passo da lei. Visita il suo blog personale: www.alessandragianoglio.com.

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