Dalla luce-all’oscurità-alla luce | L’allontanamento dalla Natura e dal nostro Sé: sappiamo davvero chi siamo?
Uno scienziato britannico, James Lovelock, ha dedicato venticinque anni del suo lavoro nel tentativo di dimostrare che anche la Terra ha una sua vita biologica.
Ora ha le prove che la vita non è un monopolio dell’essere umano, e neppure la mente è un’esclusiva dell’uomo: gli animali ce l’hanno, e anche gli alberi. E proprio come gli alberi nascono dalla terra, anche noi siamo fatti di terra.
Forse James Lovelock non sa che in Oriente, per migliaia di anni, senza alcuna sperimentazione scientifica, i mistici hanno proposto queste verità fondamentali. La chiarezza della nonmente ha permesso loro di vedere la vita ovunque: nulla è morto.
Gaia e il nostro Sé Superiore
James Lovelock ha chiamato la sua teoria: Gaia.
La teoria di Gaia afferma che la Terra è un organismo vivente che mantiene il proprio equilibrio. L’uomo, però, sta cercando in tutti i modi di turbare questo equilibrio, perché non ha compreso che la Terra è sua madre e il cielo è suo padre.
Noi tutti siamo creature della Terra e del cielo: siamo il punto d’incontro tra terra e cielo.
Quell’equilibrio è qualcosa di reale, ed è prova di intelligenza.
“A causa della sua ignoranza, purtroppo, l’uomo non capisce quell’ecologia… e continua a distruggere quell’equilibrio.” Osho, Yakusan: Straight to the Point of Enlightenment
Da un punto di vista intellettuale oggi è chiaro a – quasi – tutti che non siamo separati dalla natura, ma ne facciamo parte. Tuttavia, rimane saldo un condizionamento collettivo che sottintende un approccio basato sul prendere senza mai restituire.
Questo sfruttamento della natura è frutto di una cultura atavica fondata sulla sopravvivenza ed è un’idea che si tramanda, in assoluta buona fede, di generazione in generazione dalla notte dei tempi: fin dai primi istanti di vita quel messaggio viene assorbito e interiorizzato.
Da ciò che si impara, studiando la storia, all’origine quell’attitudine era giustificata dallo stato delle cose. Ma oggi l’umanità è cresciuta – sicuramente in termini numerici – e la sua sopravvivenza non è più minacciata dall’esterno: siamo noi a distruggere e a rendere impossibile la vita su questo pianeta!
Eppure viviamo soggiogati da convinzioni, atteggiamenti, dogmi e norme di un passato che fu; qualcosa che poco o nulla ha a che fare con la realtà odierna. E, anziché crescere sulle spalle di chi ci ha preceduto, viviamo succubi di ideologie e tradizioni vecchie e obsolete.
La via d’uscita può solo essere un risveglio individuale della consapevolezza. A livello collettivo – per le strane regole che governano la psicologia delle masse – il rapporto e l’approccio con la natura rimane fondato su precise convinzioni che si discutono, si tenta di regolamentare ma che alla fine tornano ad affiorare in reazioni inconsce, spesso inaspettate e sorprendenti: grazie all’acquiescenza di tutti, la natura resta maligna ed è giocoforza lottare per dominarla.
E la stessa idea si riflette nel mondo interiore. In modi sottili siamo noi stessi che condanniamo la nostra natura; siamo noi a dubitare delle nostre qualità esistenziali – come l’intuizione, la spontaneità, la presenza di spirito –, la stessa intelligenza è usata per apprendere e sfruttare le regole dei gioco; subendo comunque collettivamente un reciproco assoggettarsi a codici e ruoli; e lasciando che siano gli altri a determinare chi siamo o chi dobbiamo essere.
Uno studio di diversi anni fa, ha appurato che in America le persone “riducono” la propria libertà allo standard più comune… pur di appartenere e di non essere giudicate o bollate come outsider!
Va da sé che questo insieme di cose si porta dietro una sottile schizofrenia che vede da un lato le buone intenzioni, gli ideali, le grandi aspirazioni, e dall’altro le debolezze e le abitudini di sempre – una vita basata sulla negazione di sé e del proprio sentire, pur di essere accettati dalla collettività.
Non è un gioco facile da sostenere e sopportare per tutta la vita. E nelle persone più sensibili, sulle lunghe distanze si traduce in disagi psicosomatici o addirittura in turbe psichiche che poi comportano cure e quant’altro… interventi che vengono fatti, sempre con la buona intenzione di rientrare nella norma!
Paradossalmente, ancora, il sistema difficilmente viene messo in discussione. Anche di fronte al disagio e alla malattia… siamo noi a essere sbagliati! Non a caso, siamo noi a essere malati e ad avere bisogno di cure.
In realtà, osservando il risultato del nostro agire collettivo – ovvero il mondo intorno a noi, così come lo creiamo ogni giorno – porterebbe una persona di buon senso a pensare che quella strada può solo portare a catastrofi di proporzioni sempre più gigantesche. Una persona di buon senso, inizierebbe a rispettare la propria natura, ad apprezzare le proprie inclinazioni naturali e ad agire in base a quel rispetto.
Occorre rimettere in discussione i codici educativi e sociali, che generano analfabetismi pericolosi e suggeriscono di controllarsi, di contenersi, di negarsi, di essere sempre bravi, buoni e gentili.
A nessuno interessa come ci sentiamo, difficilmente chi siamo è materia di discussione: ciò che conta è far bene il proprio dovere, svolgere i propri compiti con efficienza, essere sempre performanti!
A partire dal semplice salutarsi, tutto diventa una recita… Qualcuno ci saluta e chiede come stiamo, e noi – per evitare noie, per essere gentili, per qualsiasi motivo di buona creanza, per “pensare positivo” – rispondiamo immediatamente: “Benissimo, grazie!”
Senza tener conto di come ci sentiamo interiormente; del tutto sconnessi da ciò che accade dentro di noi, nel profondo: magari c’è agitazione, da tempo non riusciamo più a rilassarci, da sempre non riusciamo ad ascoltarci… ma siamo persi in una vita fatta di automatismi, e non ce ne chiediamo mai il motivo.
Malgrado ciò che può apparire in superficie. Non poter essere ciò che si è, non poter realizzare le più segrete aspirazioni della nostra essenza, non poter vivere la vita che intimamente siamo, genera una sensazione di disagio che alla fine presenterà il conto!
Purtroppo, l’oblio di sé è cosa talmente coltivata che non si riesce neppure più ad associare quella causa, con eventuali sintomi. Men che meno con gli effetti che segneranno, spesso per sempre, la nostra vita.
Quello è il prezzo inevitabile da pagare per sentirci accettati come “normali”.
Ne vale davvero la pena?
È una domanda che oggi affiora alla coscienza di un numero sempre maggiore di persone, anche valutando i risultati di tanta negazione, di tanti sacrifici, di tanti sforzi… qualcosa che puoi vagliare su di te, adesso: prenditi qualche minuto e prova a descrivere su un foglio lo stato attuale della tua vita. Traccia a grandi linee le tue priorità giornaliere, ed elenca ciò che ti impegna, cosa ti arrovella, cosa senti che ti manda.
Poi, prova a chiudere gli occhi per un momento – fai alcuni respiri profondi – e considera te stesso. Come ti senti? Avverti un senso di integrità, oppure ti senti confuso e frammentato, avverti agitazione e scompiglio? Ti senti davvero sincero nei tuoi rapporti, oppure hai la sensazione di recitare perennemente una parte… più funzionale a non sentirti escluso e isolato dal tuo gruppo di appartenenza – familiare o sociale?
In una parola: hai un’idea di chi sei, al di là dei ruoli, delle funzioni, delle lauree e dei diplomi, degli impegni e dei doveri?
A questo punto, se ritieni che l’insieme della tua vita non sia così soddisfacente come vorresti che sia, se questa chiacchierata per qualche motivo ha sollecitato in te il desiderio di riconnetterti e riconoscere la tua essenza – ciò che lo Zen definisce “il volto originale”.
“Quello che avevi prima di nascere e che avrai dopo la morte” – ebbene, considera la proposta esperienziale suggerita nel nuovo libro di Osho che stiamo presentando, per gradi e prospettive diverse.
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Di certo la tua vita ne trarrà benefici impensabili, allo stato attuale delle cose… provare per credere!
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