Dieci ragioni per dire no ai prodotti transgenici
(Articolo scritto da Silvia Ribeiro e Massimo Bonato. Per gentile concessione del portale web _omissis_ )
Le multinazionali che detengono produzione e mercato di prodotti transgenici dichiarano che sono più nutritivi, più produttivi, che necessitino di minori quantità di agrochimici, come fertilizzanti o erbicidi. È però vero il contrario.
I fautori dei prodotti transgenici (Ogm – organismi geneticamente modificati) promettono un maggior valore nutrizionale degli alimenti, una maggiore produttività dei raccolti, la minor necessità di dover far ricorso all’uso di prodotti chimici per erbicidi o fertilizzanti, e quindi si presentano come la soluzione alla fame nel mondo.
Dovremmo accettare i rischi che comportano, dicono, dal momento che tutte le nuove tecnologie presentano dei rischi e comunque sempre ci sarà qualcuno che non capisce la scienza e oppone resistenza al cambiamento.
La realtà però ci mostra che gli Ogm non soddisfano nessuna di queste promesse. Al contrario, producono meno, richiedono più prodotti chimici, creano nuovi problemi ambientali e sanitari, più disoccupazione ed emarginazione, poiché concentrano in poche mani la proprietà della terra, inquinano le colture di base essenziali per l’economia e la cultura come il mais, aumentano la dipendenza economica e rappresentano un’aggressione alla sovranità.
Ecco dieci motivi per NON sceglierli:
1. L’ingegneria genetica si basa più su incertezze che conoscenze
Gli Ogm sono organismi nei quali è stato inoculato materiale genetico, di solito da altre specie, con metodi che in natura non potrebbero mai accadere.
Recenti studi pubblicati su riviste scientifiche (1) ipotizzano che il dogma centrale della genetica dal 1950, potrebbe essere fondamentalmente sbagliato. Il guaio è che questo dogma centrale (sbagliato?) si stanno producendo su vasta scala organismi transgenici che finiscono nel nostro cibo, nelle medicine e contaminano la biodiversità.
La tecnologia dell’ingegneria genetica si fonda su così tante incertezze ed effetti collaterali imprevedibili, che non potrebbe a dire il vero essere chiamata né ingegneria né tecnologia. È come se si volesse costruire un ponte gettando massi da una sponda all’altra, con la speranza che cadano nel posto giusto. Durante l’intero processo appaiono tutti i tipi di effetti imprevisti, ma i responsabili assicurano che non ci sono prove sull’impatto negativo che potrebbe verificarsi sulla salute o sull’ambiente, che la questione non è scientifica. La realtà è anche peggiore, perché gli Ogm non sono inerti, sono organismi che si riproducono nell’ambiente, fuori del controllo di coloro che li hanno creati.
2. Comportano rischi per la salute
Se si entrasse in un negozio in cui sui biscotti esposti comparissse un cartellino con su scritto “Non c’è nessuna prova che nuociano alla salute”, chi li comprerebbe? Nessuno. Naturalmente, non sono le industrie biotech alla ricerca di simili prove. Lo sono scienziati indipendenti come il dottor Terje Traavik, norvegese, che nel 2004 è giunto a conclusioni allarmanti: nei contadini le allergie sono dovute al polline di mais transgenico inalato (2).
Ma il vero vaso di Pandora è rappresentato dagli effetti non prevedibili: i produttori di Ogm non conoscono gli effetti che i loro prodotti possono avere sulla salute umana e animale; non sanno, per esempio, che possono ricombinarsi con i nostri batteri; che il corpo umano può incorporare parte di questi prodotti, come è di fatto già avvenuto nei polmoni, nel fegato e nei reni di ratti e conigli (3).
3. Hanno un impatto sull’ambiente e le colture
Quasi non esistono studi sugli impatti sulle colture e l’ambiente. Tuttavia, è chiaro, e purtroppo dimostrato con la contaminazione Ogm del mais in Messico che, una volta rilasciati gli Ogm finiscono per contaminare altre colture attraverso il polline, il vento e gli insetti. Gli insetticidi dei coltivi possono danneggiare specie diverse che pure non sono parassite di quelle medesime coltivazioni, come è accaduto con il polline del mais Bt che colpisce le farfalle monarca; in questo modo, proprio i Paesi ricchi di biodiversità sono quelli più a rischio.
E lo stesso accade tra specie vegetali, come dimostrano le deformazioni delle piante di mais in Messico.
4. Non risolvono la fame nel mondo: l’aumentano
Secondo i promotori di prodotti transgenici, dovremmo accettare questi rischi, perché abbiamo bisogno di più cibo per una popolazione mondiale in crescita. Ma la produzione di cibo non è la causa della fame nel mondo. Si producono al momento l’equivalente di 3500 calorie procapite al giorno nel mondo, che corrispondono a circa 2 chili di alimenti a persona al giorno, abbastanza per rendere tutti obesi (4). La fame nel mondo non è un problema tecnologico. Si tratta di un problema di ingiustizia sociale e squilibrio nella distribuzione del cibo e della terra. Gli Ogm accrescono questi problemi.
5. Costano di più, rendono di meno, necessitano di più prodotti chimici
Da quando gli Stati Uniti iniziarono a trattare prodotti transgenici nel 1996, l’uso di prodotti agrochimici è aumentato di 23 milioni di chili.
Le coltivazioni Ogm producono anche meno. La coltura più diffusa, è la soia tollerante agli erbicidi (61% del volume di Ogm nel mondo) produce tra il 5 e il 10% in meno della soia non transgenica (5).
Le sementi geneticamente modificate sono più costose di quelle convenzionali. Questo significa che, quand’anche si ottenesse temporaneamente un piccolo aumento della produzione, non copre la spesa superiore in sementi. L’industria della biotecnologia sostiene che questo non può essere vero (anche se lo è!), perché diversamente gli agricoltori americani non utilizzerebbero questi semi. La verità è che la maggior parte non ha altra scelta, perché non hanno più semi propri, non c’è altra scelta sul mercato e hanno stretto forti vincoli con le aziende sementiere multinazionali.
6. Sono un attacco alla sovranità
Quasi tutte le colture Ogm nel mondo sono proprietà di cinque imprese transnazionali: Monsanto, Syngenta (Novartis + AstraZeneca), Dupont, Bayer (Aventis) e Dow. Monsanto controlla da sola più del 90% della vendita di agrotransgenici. Sono le stesse imprese che controllano la vendita di semi a essere le maggiori produttorici di pesticidi (6). Questo spiega il motivo per cui più di tre quarti di Ogm che si producono – nella realtà, non nella propaganda – sono tolleranti agli erbicidi e permettono quindi che l’uso di pesticidi aumenti.
Accettare la produzione di sementi transgeniche significa consegnare gli agricoltori, con le mani legate, alle poche multinazionali che dominano il business e vendono la sovranità alimentare dei paesi.
7. Privatizzano la vita
Tutti gli Ogm sono brevettati, per lo più di proprietà delle stesse aziende che li producono. Cosa che rappresenta un attentato etico, sia perché sono brevetti sulla vita, sia eprché sono una palese violazione ai “diritti degli agricoltori” riconosciuti dalle Nazioni Unite, come il diritto di tutti gli agricoltori a preservare le sementi per il raccolto successivo. Cosa che la brevettazione impedisce e obbliga i contadini a comprare nuovi semi ogni anno. Se non lo fanno, si trasformano in criminali: basti pensare che le multinazionali produttrici di Ogm hanno in corso centinaia di cause contro agricoltori nordamericani, per “uso improprio dei brevetti”.
8. Che cosa ne segue: semi suicidi e colture tossiche
La prossima generazione di organismi geneticamente modificati include coltivazioni manipolate per produrre sostanze non commestibili come plastica, spermicidi, sostanze per provocare l’aborto, vaccini. Negli Stati Uniti ci sono oltre 300 esperimenti segreti (ma legali) di produzione di colture transgeniche non alimentari: principalmente mais. Si parla di produzione di vaccini in coltivazioni come se fosse qualcosa di positivo, ma cosa succederebbe se queste “farmacoltivazioni” si introducessero inavvertitamente nella catena alimentare? Chiunque è stato vaccinato contro qualche malattia, ma vaccinarsi ogni giorno è un’altra cosa. Che effetto produrrebbe? E in ogni caso, si sono già verificati rilasci accidentali di queste colture.
In Messico, la semina di mais transgenico è vietata, e pur tuttavia dal 2001 si sono riscontrate contaminazioni nel mais in aree rurali di diversi stati messicani, al nord, al centro e nel sud del paese (7). Come facciamo a sapere che non accadrà con questo mais? Chi controllerà se proprio le autorità del ministero delle Politiche Agricole hanno firmato nel novembre 2003 un accordo con Stati Uniti e Canada, che li autorizza a esportare in Messico granturco anche contaminato da Ogm fino al 5%?
Le aziende che producono Ogm stanno sviluppando vari tipi di tecnologia “Terminator” per rendere i semi “suicida” e obbligare a comprare sementi a ogni semina.
9. La convivenza non è possibile, ma neanche il controllo
Presto o tardi, le colture geneticamente modificate contamineranno tutte le altre colture, sia nei campi sia nei processi di trasformazione, raggiungendo il consumatore. Secondo un rapporto del febbraio 2004 dalla Union of Concerned Scientists negli Stati Uniti, almeno il 50% dei semi di mais e soia presenti nel Paese, che non erano transgenici, sono stati contaminati. Il New York Times (1° marzo 2004) ha commentato: “Contaminare le varietà colturali tradizionali significa inquinare il patrimonio genetico delle piante da cui è dipesa la sopravvivenza dell’umanità per gran parte della sua storia … L’esempio più grave è la contaminazione del mais in Messico”.
Per verificare la presenza di Ogm, dipendiamo proprio dalle aziende che li producono e che ci forniscono le informazioni, del resto riluttanti a fornire, con la possibilità di attribuire responsabilità non ai prodotti ma a chi ne è stato vittima. “Casualmente”, dopo gli scandali dovuti alla contaminazione delle colture tradizionali da parte di quelle transgeniche, è diventato sempre più difficile verificarne la presenza (8).
10. Attacco al cuore delle culture
La contaminazione del mais in Messico è il nocciolo della questione, concentra tutti i problemi descritti fin qui, ma è anche un violento attacco al cuore stesso delle culture messicane: alla sua grande cultura gastronomica e ai tanti usi che del mais si fanno, alla sua economia rurale, alle basi dell’autonomia indigena. Con questa guerra biologica al mais tradizionale, le multinazionali potrebbero appropriarsi di questo tesoro mesoamericano millenario e collettivo e privatizzarlo, costringendo i produttori di mais a pagare per continuare a servirsene in futuro.
Aldo González Zapoteca di Oaxaca, riassume:
“… Noi siamo eredi di una grande ricchezza che non si misura in denaro e di cui ora vogliono spogliarci: non è il momento di impietosire l’aggressore. Ogni contadino indigeno sa della contaminazione transgenica del nostro mais e diciamo con orgoglio: semino e seminerò i semi che i nostri antenati ci hanno lasciato e avrò cura che i miei figli, i loro figli e i figli dei loro figli continuino a coltivarli … Non permetterò che uccidano il mais, il nostro mais morirà il giorno in cui si spegnerà il sole”.
Note
(1) Wayt Gibbs W., The Unseen Genome, in «Scientific American», novembre 2003; Blinded by the Gene, in «Seedling», settembre 2003, www.grain.org.
(2) Ribeiro, Silvia, Transgénicos, salud y contaminación, in «La Jornada», 20 marzo 2004.
(3) New Health Dangers of Genetically Modified Food Discovered, Bolettino dell’Institute for Responsible Technology, che cita gli studi di TerjeTraavik, del Norwegian Institute for Gene Ecology, Malasia, 24 febbraio 2004.
(4) Moore Lappé F., Collins J. e Rosset P., World Hunger: 12 Myths, Food First Books, 1998.
(5) Benbrook C., Tiempos problemáticos en medio del éxito comercial de la soja RoundupReady, Northwest Science and Environmental Policy Center, AgBioTechInfoNet, TechnicalPaper # 4, 2001, http://www.biodiversidadla.org/arti.
(6) Grupo etc., etc. Communiqué # 82: Oligopolio sa, nov-dic 2003, http://www.etcgroup.org/article.asp.
(7) Contaminación del maíz en México: mucho más grave. Bolettino collettivo di comunità indigene e contadine di Oaxaca, Puebla, Chihuahua, Veracruz, Ceccam, Cenami, Grupo etc, Casifop, Unosjo, Ajagi, ottobre 2003.
(8) Heinemann Jack A., Ogm Corn in New Zealand: a case study in detecting purposeful and accidental contamination of food, relazione al seminario scientifico per delegati del Protocolo Internacional de Cratagena sobre Bioseguridad de la Red del Tercer Mundo e l’Institute de Gene Ecology, Malasia, 22 febbraio 2004.
*Silvia Ribeiro es investigadora del Grupo etc, http://www.etcgroup.org
Ecoportal.net
[traduzione in italiano di Massimo Bonato.]
(Si ringrazia il portale _omissis_ per la gentile concessione alla pubblicazione)
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