Chiedere all’Universo per ottenere qualcosa: il potere del darsi
Perché spesso e volentieri quello che vogliamo non si realizza? Ci sono ormai fior di libri e di articoli dettagliati sulla legge di attrazione, su come attirare nella propria vita le cose che si desiderano, ecc. ma qui si tratta di una suggestione completamente diversa da integrare nel proprio vissuto. Avete mai pensato che il solo fatto di chiedere sia una implicita affermazione di mancanza? Niente a che vedere, beninteso, con l’assenza di obiettivi, di aspirazione o di forza di volontà ma, ancora una volta, si tratta di qualcosa di diverso.
“Lasciamoci andare al nostro vero intimo divino. Non per chiedere pace per il nostro io, non per chiedere una forza rigenerata, non per chiedere la serenità dell’io. Quello che non si capisce, o non si vuole capire, è che chiedere è sempre tensione e angoscia. Si dice ‘voglio solo la serenità’ ma la serenità e il ‘voglio’ non sono compatibili, in nessun modo; l’uno esclude l’altra. Al Divino che è nel nostro intimo, in tutto il buio infinito, dentro e fuori dal nostro cerchio individuale, possiamo solo dare. Aspiriamo a dissolverci in Lui con un movimento d’amore: un’apertura totale […] Non fingiamo con noi stessi; se vogliamo dissolvere l’ansia che ci attacca dobbiamo dissolvere anche l’attaccamento alla serenità che vorremmo’. (Selene Calloni Williams, Energia e Armonia nello Yoga Integrale)
Intendiamoci, non è sbagliato chiedere di per sé ma, come in tutte le forze che regolano i mondi dell’invisibile, è l’atteggiamento di fondo, l’intensità e l’intenzionalità a fare la differenza. L’assenza di sforzo è la condizione naturale affinché tutto si compia nell’ottica di un equilibrio universale che porta alla realizzazione di qualsiasi cosa, anzi, porta alla riunificazione che è ricostituire l’ordine primigenio nel patto con la natura, gli spiriti, l’universo, il Divino e tutti i nomi che si vogliono dare a ciò che è invisibile e che richiede di essere visto, celebrato, amato, riconosciuto. Come?
Non c’è che una forza dal potere infallibile in grado di compiere miracoli e magie: l’amore. Ma troppo spesso si confonde l’amore con ciò che amore non è, oppure con tutte le sue declinazioni più o meno egoiche legate soprattutto alle relazioni interpersonali, che vanno dal sentimentalismo alla gelosia all’attaccamento mascherato da preoccupazione amorevole. Non è nemmeno compassione, anche se un’attitudine compassionevole tende a svilupparsi spontaneamente una volta appresa la reale natura di tale amore che è sposalizio universale, che è darsi alla morte. Darsi alla morte (e non chiedere più vita), ovvero darsi ai propri limiti vincendo la paura (e non chiedere di non averne più), darsi totalmente al dolore così come alla gioia, darsi alla disgregazione dell’ego per entrare a pieno titolo nel flusso naturale dell’abbondanza con tutti i suoi ritmi non necessariamente “belli” o “brutti” perché si è al di là del bene e del male quando al posto della commiserazione si celebra il rito della bellezza. Ed ecco allora che la preghiera del chiedere diventa celebrazione del dare e del fare, del darsi e del fare anima.
“Nel chiedere all’Universo non dare importanza a quello che vuoi raggiungere, prendere, ottenere ma concentrati su quello che devi dare, che non hai dato… Allora se tu ti concentri su quello e TI DAI, l’Universo ti riunisce, ti porta quella cosa lì perché non è una cosa che puoi ottenere con uno sforzo personale”.
GUARDA IL VIDEO CON SELENE CALLONI WILLIAMS: COME CHIEDERE ALL’UNIVERSO (Sri Lanka 2016)
“L’unico peccato nella vita è compiere atti non creativi” – ci ricorda Selene durante il viaggio e ritiro di meditazione in Sri Lanka. La creatività è eros e eros è energia creativa, è darsi incessantemente, è copulare con la divinità, con il partner celeste o sotterraneo che è sempre con noi, che è in noi e ovunque ci si metta entusiasmo, sacrificio (rendere sacro) e abbandono (Surrender, altra parola chiave dello yoga integrale di Sri Aurobindo). E allora, è come farlo l’amore in ogni momento in cui ci si dona, sacrificando la propria individualità per fondersi con l’anima del mondo, proprio come tra le braccia di un amante.
“M’incammino a piedi nudi sulla sabbia tra le rocce e gli scogli animati da gamberi di ogni dimensione, che la notte fuoriescono arzilli dall’arenile oceanico. Guardo a terra, solo a terra, nella Medesimezza tra la luce artificiale della torcia e il suo svanire, seguo le tracce fluorescenti della presenza, la mia e la sua, la nostra… e quella di tutti gli spiriti del luogo, del mare e del vento, dei pavoni e dei gechi, dei ragni giganti e degli scorpioni che sembrano millepiedi, delle rane e degli scoiattoli, dei lombrichi e delle tartarughe giganti invisibili… All’unisono i cuori degli amanti si confessano in silenzio o con un filo di voce quanto sono perfetti certi momenti. E basta un soffio di vento o l’eco della luna perché tutto cambi, perché l’odore dei capelli sul viso acceleri il respiro fino a sospenderlo, e basta una carezza azzardata come credere che le stelle cadenti possano vedersi anche a gennaio, perché tutto resti, così nitido nell’impermanenza da trafiggere il petto di un piacere inesauribile. Interno ed esterno simultaneamente, senza bisogno di aggiungere altro. É come farlo l’amore. É come dondolare tra le braccia l’incanto del risveglio” (Sri Lanka, 3 gennaio 2016)
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