Consapevolizzare l’esperienza umana | Cambiare la nostra mente
Sin dall’antichità l’uomo si è interrogato sul significato dell’esistenza umana, cercando di dare risposte ontologiche all’interrogativo più grande della sua vita: chi sono?
Per Cartesio l’Essere era strettamente collegato alla facoltà del pensare, anzi ne era la conseguenza diretta; “cogito ergo sum” diceva, e molti altri filosofi si sono dibattuti su questo tema centrale seguendo il proprio intuito ma senza mai trovare una risposta definitivamente valida e soddisfacente.
Anche oggi alcune filosofie e scuole metafisiche attribuiscono a questa facoltà un’importanza enorme.
Dunque, noi siamo realmente quello che pensiamo?
Da una prima riflessione sembrerebbe proprio di si; in realtà non è del tutto esatto, in quanto noi siamo anche ciò che sentiamo (in termini di emozioni e sentimenti), siamo ciò che facciamo, siamo ciò che diciamo; ma siamo anche ciò che non facciamo, che non diciamo e che non pensiamo.
Insomma la questione è molto più complessa ed articolata di quanto possa sembrare.
In definitiva possiamo anche sostenere che noi prendiamo parte ad un’esperienza generale ed intrinseca che chiamiamo “vita”, nella quale partecipiamo a tutta una serie di manifestazioni sia esteriori che interiori interagendo con altri individui e con tutte le altre forme con lo scopo di conoscerci, o meglio di ri-conoscerci, ma nella maggior parte dei casi inconsapevoli dell’interconnessione e dell’interdipendenza che ci lega tra noi ed all’Universo intero.
In questo percorso ci muoviamo linearmente in senso orizzontale nella dimensione spazio-temporale, cosicché quando questo movimento ci sembra che avvenga in avanti, crediamo di aver posto le premesse per ciò che convenzionalmente chiamiamo evoluzione; mentre altre volte abbiamo la percezione di andare indietro, credendo di regredire e involvere. In realtà non è così, poiché tutto ciò scaturisce soltanto dalla percezione che abbiamo di noi stessi e, di conseguenza, del mondo che ci circonda; ma questa percezione è determinata solo ed esclusivamente dal nostro livello di consapevolezza.
Allora, è il nostro livello di consapevolezza che determina la qualità delle esperienze che facciamo?
Anche se la cosa potrebbe sembrare alquanto strana e priva di apparente significato, in realtà sembrerebbe proprio che l’essere umano si muova in un ambito abbastanza ristretto e perfettamente definito dalla sua coscienza, che egli manifesta esteriormente alimentando l’illusione che questo “esterno” sia il cosiddetto “mondo reale” e non quello che invece lui stesso ha creato.
In estrema sostanza, l’interconnessione e l’interdipendenza rappresentano un livello più ampio di coscienza dove ogni mente contiene tutte le menti, perché ogni mente è una sola mente; cosicché ognuno di noi può dire che tutto ciò che sperimenta all’esterno non è “suo”, bensì condiviso da tutti gli altri esseri viventi, ed ogni persona o situazione che viviamo rappresenta solo una parte di noi ovvero della nostra coscienza.
Ma è soltanto a causa della nostra percezione distorta che la mente ci mostra tutto separato da noi stessi.
In questo modo, in virtù delle nostre attività di base (pensare, sentire e agire), oltre ad occupare degli spazi vuoti nella nostra vita, cerchiamo di esprimere noi stessi dando un senso più compiuto alla nostra esistenza, spesso riempiendoci di impegni, accumulando cose materiali, creando situazioni specifiche e intrecciando rapporti interpersonali di vario genere senza quasi mai capirne bene né il perché né lo scopo.
Tutto questo ci permette di occupare un determinato spazio e tempo a cui attribuiamo un valore preciso e con i quali spesso ed inconsapevolmente ci identifichiamo. Ci creiamo un ruolo adatto ai nostri bisogni, ci ritagliamo intorno tutta una serie di attributi e ci costruiamo dei contesti sociali che riempiamo di valori e di ideali.
Dunque diventiamo un marito, una moglie, un figlio, oppure un avvocato, un medico, un insegnante, ecc. ecc., e quando questi contesti e ruoli non ci soddisfano più, oppure non corrispondono più alle nostre aspettative, ne inventiamo altri nella speranza di trovare una gratificazione personale che giustifichi la nostra vita o le nostre scelte.
Inconsciamente abbiamo creato un mondo tutto nostro a cui abbiamo attribuito valori e significati con lo scopo che possa condurci alla salvezza ed alla felicità, ma così facendo ci siamo incatenati sempre di più alla nostra creazione e la nostra mente si è potuta costruire, a sua volta, una propria realtà nella quale l’ego può attuare in tutta libertà il suo piano di vendetta basato sull’illusione.
In questi contesti nuotiamo come i pesci nell’acqua ma, nello stesso tempo, creiamo le opportunità ed i presupposti per liberarci dalla catene che ci siamo messi addosso con lo scopo di manifestare la più autentica espressione di noi stessi. Spesso però tali contesti finiscono per diventare delle vere e proprie gabbie sociali dalle quali diventa difficilissimo uscire, per riverente e rispettosa coerenza delle proprie scelte e perché l’identificazione che ne consegue porta spesso all’innamoramento ed all’autocompiacimento delle nostre stesse creazioni.
In realtà è soltanto di illusioni che stiamo parlando, che la nostra mente abilmente crea e con cui gioca servendosi della nostra personalità.
Per questo motivo la scelta più saggia che possiamo fare è cambiare la nostra mente su noi stessi e sul mondo piuttosto che cercare invano di cambiare il mondo dall’esterno, poiché esso cambierà di conseguenza essendo soltanto l’effetto e non la causa.
In queste attività illusorie attribuiamo un’identità a tutto ciò che facciamo e che ci appartiene, ma anche a tutto ciò che pensiamo e sentiamo. Allora, la nostra vita diventa una somma di esperienze, attributi e qualità con le quali giudichiamo e veniamo giudicati.
Tale meccanismo determina ciò che siamo e che vogliamo essere. In realtà è più corretto definirlo ciò che “crediamo di essere”, giacché non abbiamo quasi mai la piena consapevolezza di noi stessi, cioè della nostra “reale identità”.
Spesso ci lasciamo trascinare in modo del tutto incosciente da qualsiasi genere di pensiero, o di emozione, a volte reagendo in modo istintuale mediante lo stesso meccanismo con cui agiscono gli animali. In questo modo impediamo a noi stessi di entrare veramente dentro l’esperienza per capirne il reale significato ed il meccanismo di azione.
Infatti la presenza, come atto di consapevolezza, rappresenta la misura con la quale sperimentiamo la nostra “Reale Identità”, ma anche il mezzo attraverso il quale tentiamo di auto-riconoscerci.
La “presenza” deve essere intesa come osservazione contemporanea dei propri pensieri, sentimenti, emozioni e sensazioni. In questo caso, e soltanto in questo, possiamo veramente dire di essere presenti a noi stessi. L’esperienza che ne deriva ci induce a riflettere di più sul significato di ciò che siamo, facendo le opportune distinzioni rispetto a ciò che crediamo di essere; e questa si chiama “consapevolezza“.
La Consapevolezza rappresenta l’essenza stessa della vita, perché attraverso di essa iniziamo a percepire dentro di noi qualcosa di più profondo che non ha nulla a che fare con ciò che percepiamo all’esterno, ma che si avvicina sempre di più ad un mondo metafisico che va al di là della nostra umana comprensione.
I nostri pensieri, emozioni e sentimenti, per i meccanismi già spiegati in precedenza, ci legano in modo indissolubile a questa dimensione spazio-temporale in cui regna l’illusione e dunque la separazione. Per questo motivo la cosa più saggia ed utile che possiamo fare è andare oltre i nostri folli pensieri, per risvegliarci da questo stato di catalessi, per vedere con altri occhi ciò che ci circonda e scoprire chi realmente siamo.
Ovviamente questo processo non può avvenire in modo troppo repentino perché abbiamo bisogno di formare prima una coscienza che ci permetta di fare nuove esperienze.
Come anime incarnate, dobbiamo tenere presente che tutto ciò che abbiamo, incluso il nostro corpo fisico, ci è stato concesso in prestito, così allo stesso modo ci è stata concessa l’opportunità di fare esperienza nella scuola chiamata “vita”.
Tuttavia il compito dell’essere umano in quanto tale è proprio quello di trascendere la propria natura umana attraverso l’esistenza terrena. Dunque è proprio qui che egli deve svolgere i suoi compiti con tutti i mezzi che ha a disposizione.
Nella mia esistenza ho avuto modo di approfondire momenti significativi di alcune vite passate, che sebbene avessero caratteristiche assai diverse tra loro, manifestavano però un tema comune, che rappresentava il fine che la mia anima si era imposto e per la quale continuava ad incarnarsi. Da queste esperienze ho tratto insegnamenti e consapevolezze che mi hanno permesso di muovermi in questa dimensione con altri parametri operando scelte più mirate.
La vita non è limitata ad una dimensione spazio-temporale definita, in quanto è espressione di una forza che trae origine nella Sorgente
Unica di tutte le cose e si manifesta in ogni istante mediante una coscienza che le permette di esprimersi e fare nuove esperienze.
Dunque trascendere la propria natura significa vivere l’esperienza umana solamente come mezzo e non come fine, affinché attraverso di essa possiamo costruirci l’opportunità per ricordare la nostra origine; allo stesso modo è importante che l’uomo durante il corso della propria vita agisca in funzione dei fini che si è posto coerentemente con i propri processi spirituali senza però crearsi aspettative sui risultati, anche perché l’aspettativa brucia l’energia che lui stesso ha messo nelle proprie azioni.
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