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Published On: Gio, Gen 19th, 2017

Il vero fallimento della relazione Terra – Civiltà Industriale

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La Terra ha quattro-cinque miliardi di anni. La Vita ha tre miliardi di anni, l’umanità ha tre milioni di anni (se assumiamo, come data convenzionale di inizio, l’esistenza della nostra antenata Lucy), la cultura occidentale giudaico-cristiana ha duemila anni, la civiltà industriale ha duecento anni. Meditiamo su questi tempi: troviamo spesso un rapporto 1:1000 ad ogni passaggio.

  Il mondo di oggi è in gravissima crisi. La civiltà industriale, che ha manifestato la sua natura distruttiva da meno di un secolo, sta per finire perché è incompatibile con il funzionamento del sistema più grande di cui fa parte.

Qualunque discorso serio sul prossimo futuro dovrebbe iniziare così: “Il modello culturale umano denominato civiltà industriale, fondato sull’incremento indefinito dei beni materiali ed espressione attuale della cultura occidentale, è fallito. Dobbiamo gestire il transitorio verso modelli completamente diversi riducendo il più possibile gli eventi traumatici, che sembrano ormai inevitabili.”

Invece si continua a parlare di ambiente (quando va bene) come se si trattasse di un “contorno” di qualcosa di più importante, come se fosse “un lusso”, un optional!!  Il termine sottintende “ambiente dell’uomo”, cioè è impregnato di un fortissimo antropocentrismo. In sostanza si usa chiamare “ambiente” un Organismo Totale come se fosse un “contorno” di alcune sue cellule.

Invece che parlare di ambiente, sarà meglio parlare di Ecosistema, cioè la Totalità terrestre ci cui la nostra specie fa parte. Oppure, semplicemente, diremo “la Terra”.

La Terra non è “la nostra casa”, ma è l’Organismo di cui facciamo parte: siamo un suo tessuto, siamo come un tipo di cellule integrate in un organismo biologico, e che dipendono in modo totale dalle sue possibilità di omeostasi.

Il vero problema di oggi non è “la crisi economica”, ma piuttosto il problema ecologico globale, da cui discendono tutti gli altri.

Le estrapolazioni in avanti di moltissimi fenomeni in corso (fra cui soprattutto l’aumento della popolazione umana sul Pianeta, 80-90 milioni all’anno, e la crescita dei consumi) danno risultati palesemente paradossali.

 La definizione classica di sostenibilità (un processo è sostenibile se “i nostri discendenti” non ne avranno un danno) non ha senso. Mi sembra molto migliore l’espressione seguente: “L’andamento di un sistema è sostenibile se può durare a tempo indefinito senza alterare in modo apprezzabile l’evoluzione del sistema più grande di cui fa parte”. Tale definizione è priva di riferimenti antropocentrici e tiene conto della vita dell’Ecosfera, che comprende anche la nostra specie.

Attualmente sulla Terra gli umani sono oltre sette miliardi e aumentano di 90 milioni all’anno, scompaiono 100.000 Kmq di foreste all’anno, l’anidride carbonica aumenta di 3 ppm all’anno, si estinguono 30-40 specie al giorno, la biodiversità si degrada a vista, il consumo di territorio fa registrare cifre vertiginose.

Palesemente questi fenomeni, conseguenze inevitabili della crescita economica, non possono continuare ancora a lungo. Quindi la Natura deve cercare di guarire dal suo male, facendo terminare quella forma di pensiero che ha invaso tutto il mondo e lo sta distruggendo. Occorre partire da altre basi, occorre abbandonare completamente: la competizione economica, la globalizzazione, la crescita, il mercato e la corsa ai consumi.

E’ accettabile soltanto uno sviluppo di tipo spirituale-culturale e delle informazioni. Se invece si mantengono le premesse attuali, i problemi del mondo sono chiaramente  insolubili.

Molti movimenti integrati nel sistema, quelli cosiddetti “ambientalisti”, continuano a parlare con il linguaggio dell’economia.  Ci sono poi movimenti utilissimi e animati dalle migliori intenzioni, come la Decrescita felice o quelli “della transizione”, che propagandano idee di cambiamenti notevoli, vogliono giustamente sostituire le fonti energetiche, ma in sostanza tendono a “verniciare di verde” il mondo attuale, troppo spesso usano ancora il linguaggio dell’economia.

Penso che bisognerà andare oltre, abbandonare anche nei discorsi le merci, i beni, il PIL, il mercato, forse anche il denaro e l’economia stessa.

Il primato dell’economico deve assolutamente cadere. Un grosso aiuto può venire da un pensiero appena nascente che comprende diversi movimenti, anche se numericamente non molto rilevanti: l’Ecologia Profonda, gli studi sulla mente animale, la mente estesa, l’Ecopsicologia, lo studio delle culture native e orientali antiche, il miglioramento dei rapporti con gli altri esseri senzienti (fino a pervenire a forme di simbiosi), la critica alla civiltà, e così via.

Senza un sottofondo animista-panteista che dia un valore in sé (e non in funzione umana) a tutte le entità naturali, sarà ben difficile pervenire a modelli culturali veramente diversi e compatibili con i più grandi cicli naturali che persistono da centinaia di milioni di anni.

© 2017, Guido Dalla Casa. All rights reserved.

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About the Author

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- Guido Dalla Casa è nato nel 1936 a Bologna, dove ha frequentato il Liceo Scientifico e si è laureato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1959 al 1997 ha svolto l’attività di dirigente dell’ENEL nelle aree tecnica e commerciale della distribuzione, nelle sedi di Torino, Vercelli, Milano e Brescia. Ora vive a Milano, dove fa parte del Gruppo Ecologia ed Energia dell’ALDAI. Dal 1970 circa si interessa di filosofia dell’ecologia e di filosofie orientali e native. E’ docente di Ecologia Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini (Università di Urbino). Tiene corsi di Scienze Naturali ed Ecologia Profonda come docente volontario alla UNITRE di Saronno e in altre UNITRE dell’area milanese. Ha pubblicato alcuni libri: L’ultima scimmia (1975) per la Casa Editrice MEB, Ecologia Profonda (1996) per l’Editrice Pangea, Inversione di rotta (2008) per Il Segnalibro, L’ecologia profonda. Lineamenti per una nuova visione del mondo (2008) e Guida alla sopravvivenza (2010) per Arianna, Ambiente: Codice Rosso (2011) per l’Editrice Jouvence, oltre a numerosi articoli su varie Riviste, quasi tutti su argomenti di ecologia profonda.

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